La recente piacevole visione dei luoghi ripresi e l’ottima capacità di narrarli, nell’interessante documentario televisivo “Aspromonte terra di poeti e di utopie”, è stata accompagnata da una lacunosa conoscenza di fatti divulgati. Prima che la disastrosa alluvione dell’ottobre 1951 forzasse gli abitanti del comune di Africo ad abbandonare le proprie abitazioni e a trasferirsi altrove, il paese non aveva l’acqua nelle abitazioni e neppure la corrente elettrica, sorte comune ad altri centri interni.
Ma, diversamente da quanto narrato, non era trascurato, se è vero come è vero che, negli anni precedenti all’evento, svolse un’opera meritoria lo statista piemontese Umberto Zanotti Bianco che, essendo fortemente attaccato a quella “perduta gente”, coinvolse l’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia. Furono, così, realizzate diverse opere, tra le quali l’edificio scolastico. Nella narrazione si ignora, anche, la presenza, sempre prima dell’alluvione, di tanti operatori sociali che hanno lavorato, anche loro, con grandi difficoltà come le maestre e i medici. Mi vengono in mente la sorella del nonno dello scrivente, che nei primi anni del novecento insegnava nel comune aspromontano, seguita a distanza di anni anche dal figlio che era diventato il medico del paese. Non mancavano neppure i carabinieri, l’ostetrica, l’operatore telegrafico, il curato ed altri. Se l’Aspromonte è stato terra di poeti e sognatori, è giunto il momento che diventi terra di costruttori di civiltà, partendo dalle tante risorse e dal faticoso passato.