Ho sentito parlare, per la prima volta, di piante tintorie, durante le lontani esercitazioni di botanica sistematica, tenute sul litorale livornese. A quel punto ho capito perché alcune persone avevano il nomignolo “il tintore”. Costui andava nei paesi aspromontani e raccoglieva, o aveva avuto qualcuno in famiglia che aveva raccolto, fibre grezze o tessuti.
Dopo averli tinti o averli fatto tingere con estratti di piante tintorie, dietro ricompensa, provvedeva, a restituire i colorati ai legittimi proprietari. Ho avuto modo di conoscere la presenza nel territorio reggino, della Robbia, che deve il suo nome al latino "ruber" (rosso), in una ricerca nell’ambito di una mia docenza, nell’ambito dell’azione formativa “"Gestione dei beni architettonici, archeologici e ambientali”, tenuta presso l'Università Mediterranea di Reggio Calabria. Per tingere la lana e il cotone di colore rosso si utilizzavano le radici dalle quali si estraeva l’alzarina sia dalla Rubia peregrina che nasce tra le siepi e le macchie che dalla Rubia tinctorum. Quest’ultima è stata introdotta nel 1822, su terreni resi fertili con lavori di bonifica nel comune di San Ferdinando, città metropolitana di Reggio Calabria, dai Signori Nunziante. La coltivazione è terminata nel 1872 poiché furono scoperti coloranti chimici, come l’anilina. Nelle campagne di San Ferdinando spuntano ancora oggi alcuni esemplari di questa.