Per arrivare all’emancipazione e al riscatto de' "La sposa", la televisione ha fatto pagare, ancora una volta, un alto prezzo mediatico alla Calabria? Ci sarà una produzione televisiva che testimonierà la Calabria che produce, poco; che resiste, poco; che, dopo i tristi eventi del passato, è stata capace e cerca di rafforzarsi e riorganizzarsi, poco; che cerca, poco, nuove vie evolutive e di benessere?

La televisione normalmente ignora le poche ma significative realtà delle quali ci sono tante testimonianze, soprattutto scritte ed esperienziali? Banalizza le sue positività o si limita a rafforzare, da qualche tempo, anche quell'immaginario collettivo che relega ogni calabrese a mettere "la nduja in ogni minestra"? I matrimoni combinati non erano e non sono una prerogativa calabrese? Sarebbe stato difficile ambientare e sceneggiare la vicenda in un'altra regione non meridionale? È stato usato il lessico di tanti dialetti? Usare solo uno dei tanti idiomi dialettali calabresi, no? È l'ennesima caduta di stile della televisione italiana di Stato? Saranno sufficienti gli spots pubblicitari in televisione e negli stadi per promuovere la terra calabrese e per cancellare anche i danni provocati dai mezzi di comunicazione sociale, dai giornali e dai programmi seriali di produzione trasmessi dalle reti televisive come “La sposa”?

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