Le faccio questa breve intervista, destinata al mio blog, per capire la difficoltà del momento, comprendere le sue basi storiche, per incoraggiare alla conoscenza, alla ricerca, all’approfondimento e, quindi, perché si realizzino i valori di una concezione democratica dell’educazione e dell’organizzazione sociale.
Lei ha scritto il romanzo “Il vecchio e il mare”, incentrato sul rapporto tra l’essere umano e la natura, che le valso nel 1954 il Premio Nobel per la Letteratura. Cosa pensa dell’attività di scrittura?
Gli scrittori si forgiano nell'ingiustizia come si forgiano le spade. Non ci vuole niente a scrivere. Tutto quello che devi fare è sederti ad una macchina da scrivere e iniziare a sanguinare. I bei libri si distinguono perché sono più veri di quanto sarebbero se fossero storie vere.
Lei che è stato l’autore del più importante romanzo sulla Prima guerra mondiale, “Addio alle armi”, ha scritto di mai pensare che la guerra, anche se giustificata, non sia un crimine. Ci spieghi meglio.
Conosco la guerra come poche altre persone al mondo e niente mi è più rivoltante di essa. Sono persuaso che tutta la gente che sorge a profittare della guerra e aiuta a provocarla dovrebbe essere fucilata il giorno stesso che incomincia a farlo da rappresentanti accreditati dei leali cittadini che la combatteranno. Non c'è caccia come la caccia all'uomo e quelli che hanno cacciato a lungo uomini armati provando piacere a farlo non hanno più interesse per nient'altro.
La sua crisi esistenziale l’ha portato a esasperare il suo alcolismo e infine, nel 1961, al suicidio. Cos’è morale e qual è la giusta maniera di fare?
E' morale ciò che ti fa sentir bene dopo che l'hai fatto, è immorale ciò che invece ti fa sentire male. La giusta maniera di fare, lo stile, non è un concetto vano. È semplicemente il modo di fare ciò che deve essere fatto. Che poi il modo giusto, a cosa compiuta, risulti anche bello, è un fatto accidentale. I vecchi non diventano saggi, diventano attenti.
Grazie e buona vita.