Dopo oltre 50 anni dalla rivolta, con le dovute eccezioni, la disinformazione spadroneggia sulla rivolta ma anche su altri temi. Il noto e sempre citato potere occulto, ha usato i cittadini che rivendicavano una condizione di vita dignitosa, e continua a farlo, attraverso diffuse pratiche di clientelismo, di illegalità e di attività spartitorie.

L’azione repressiva, vista nei confronti dei rivoltosi, che raramente hanno saccheggiato alcuna attività economica, non la si vede, con la stessa intensità, nei confronti della ormai atavica piaga della delinquenza organizzata di tipo tradizionale e di quella dei cosiddetti “colletti bianchi”. L’avvento delle regioni ha visto la corruzione diffondersi, a livelli esponenziali, nei “fecondi” uffici della Regione Calabria. Rimangono indelebili alcuni ricordi come quello di quando il popolo, senza più speranze perché “la risposta” era arrivata con l’invio dei cingolati, si aggrappò alla tradizionale “pietà popolare”, chiedendo e ottenendo dall'arcivescovo, Monsignor Giovanni Ferro, del quale si è sempre sentita la mancanza,di portare in processione la sacra effige della Madonna della Consolazione, cosa che solitamente avveniva in tempo di pestilenze e invasioni. La partecipazione fu enorme senza distinzioni di credo politico come lo fu per le persone che parteciparono alla rivolta. Le conseguenze del trasferimento del “pennacchio”, così fu erroneamente definito il titolo di capoluogo di regione, sono evidenti: la città dello stretto si è impoverita mentre, la città dei venti, destinata a morire, si è arricchita per i vantaggi socio-economici che un capoluogo di regione comporta. Il compianto Italo Falcomatà, avendo capito che indietro non si poteva tornare, per evitare insignificanti guerre di campanile, ha cercato di avvicinare le due città per dare forza alle loro aree, marginali. Purtroppo la sua prematura dipartita non ha portato a compimento questo ed altri suoi e nostri sogni.

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